Lo scopo di S2, nei suoi tre pilastri, è la quantificazione del Capitale Economico di Solvibilità (EC) nel primo pilastro, nella gestione qualitativa dei rischi interna all’azienda e nei rapporti con l’autorità di vigilanza nel secondo pilastro, e nella trasparenza di tali informazioni nei confronti del mercato mediante il terzo pilastro.
Sottoscrivere i rischi degli assicurati è solo una delle incertezze affrontate dalle imprese di assicurazione. Come ogni attività economica è sottoposta a rischi operativi dovuti a inadeguatezze dell’operatività umana e dei sistemi. I premi ricevuti dagli assicurati e anche il capitale proprio vengono investiti mediante operazioni molto complesse di gestione del portafoglio. Ciò naturalmente comporta il rischi di perdite da investimento che possono mettere a repentaglio il soddisfacimento degli impegni nei confronti degli assicurati. Nei rapporti economici con controparti, qual ad esempio banche, riassicuratori ed agenti e assicurati, vi è la possibilità che i crediti vantati si deteriorino. Pertanto Solvency 2 prevede che la probabilità di fallimento della controparte sia quantificata e considerata nel totale del Capitale Economico minimo che la compagnia deve disporre (1).
Un discorso più articolato merita il rischio di sottoscrizione, che rappresenta il rischio assicurativo per eccellenza e che nella compagnia per eccellenza rappresenta la maggior parte del capitale richiesto. Il capitale associato a tale rischio vuole servire da cuscinetto di sicurezza perché la compagnia possa garantire il soddisfacimento di tutti i bisogni nei confronti degli assicurati: durante la sottoscrizione dei nuovi contratti, la componente “premium risk”, qualora i costi associati di questi risultino maggiori dei premi, durante la fase di gestione e liquidazione dei sinistri già noti, qualora il costo effettivo di questi superi significativamente l’ammontare messo a riserva (“reserverisk”). Infine una componente ad hoc è stata inserita per tener conto degli eventi catastrofali, ossia di quegli eventi che colpirebbero allo stesso tempo un numero significativo di assicurati distinti.
Ciascuno dei rischi censiti da Solvency 2 è quantificato mediante una misura di capitale, detta capital charge. Il capital charge viene valutato identificato all’interno del portafoglio assicurativo specifico per il rischio considerato segmenti omogenei per ciascuno dei quali viene svolto una valutazione ad hoc ottenendo una misura di capitale. Tali misure di capitale vengono poi aggregate per ottenere una misura di capitale complessiva per il rischio (2). La logica di aggregazione dei rischi viene applicata a tutti i livelli gerarchici in modo da ottenere la quantificazione del capitale richiesto. L’applicazione delle matrici di correlazione fa sì che l’ammontare del capitale aggregato per i rischi sia inferiore, in genere, alla somma dei rischi individuali. Ciò è coerente con il principio economico della diversificazione. Il “rischio totale” è inferiore alla somma dei singoli rischi perché movimenti positivi e movimenti negativi tendono a controbilanciarsi, in una certa misura, se non perfettamente dipendenti.
Solvency due desidera introdurre nell’ambito della impresa assicurativa un approccio olistico: assumere e gestire rischi è sempre stata l’attività propria dell’impresa assicurativa. La novità introdotta da solvency due consiste nel chiedere alle imprese di assicurazione una visione integrata della propria attività, identificando per ciascuno settore le aree di rischio e di incertezza, di quantificare questo rischio tramite o modelli standardizzati oppure modelli interni definiti sulla propria specifica realtà (nel primo pilastro), di dimostrare di aver messo in piedi un’adeguata politica di gestione dei rischi a livello aziendale (nel secondo pilastro) e di mostrare un’adeguata trasparenza rispetto al mercato.
Da un punto di vista puramente probabilistico il regolatore richiede che l’impresa di assicurazione si doti di capitali e politiche di gestione del rischio tale per cui essa presenti una probabilità di fallimento (o più realisticamente, di ricapitalizzazione) inferiore ad un evento ogni 200 anni.
Ciò comporta fondamentalmente che l’assicuratore per ogni sua attività che comporti un’assunzione del rischio si chieda non solo quale sia il suo risultato atteso, ma anche un’idea dello spettro possibile dei risultati, in altre parole la sua distribuzione di probabilità. Questo vale non solo per la pura attività assicurativa, ossia lo scambio di ammontare di monetari certi per prestazioni incerte, ma anche per tutte le attività di “back office” ad esso connesse. L’assicuratore dovrà quantificare la variabilità del valore investimenti nei quali ha riposto i premi ricevuti dagli assicurati in un orizzonte temporale almeno annuale. Dovrà interrogarsi sulla probabilità che i riassicuratori con i quali ha intrapreso operazioni di copertura del proprio portafoglio possano non mantenere i propri impegni. Similmente incomincerà a registrare in modo sistematico le perdite incidentali che avvengono durante l’operatività di tutti i giorni (interruzione dei sistemi informativi, errori umani, sanzioni da parte dell’autorità di vigilanza,…). L’assicuratore formalizzerà mediante i modelli matematici al momento più in voga delle distribuzioni probabilistiche relative ai propri esborsi futuri suddivise per classi e poi integrate in modo tale da poter valutare l’intervallo di variazione possibile del proprio patrimonio netto entro un anno.
Per quanto avanzata possa essere una società di assicurazione, nulla garantisce che modelli matematici usati, a causa delle inevitabili semplificazioni e incertezze sui dati di input, permettano una “corretta” quantificazione del rischio, ammettendo anche che esista un approccio per poter calibrare questo modello a posteriori. Il beneficio più profondo della revisione dei regolamenti sulla solvibilità dell’impresa di assicurazione a livello europeo giace invece nell’incoraggiamento che il legislatore ha generato per gli attori del mercato assicurativo nel rivedere profondamente il proprio modo di operare e le fonti di incertezza in ogni aspetto della propria attività in un’ottica di tipo olistico.
NOTE
(1) Per Capitale Economico si intende, salvo peculiarità, la differenza tra gli attivi e i passivi, ossia il patrimonio netto.
(2) L’aggregazione viene effettuata mediante matrici di correlazione sotto Solvency 2.