Bebchuck ha studiato le sfide elettorali nelle Corporation durante il decennio 1996-2005 e dalla sua analisi appare molto bassa l’incidenza delle sfide elettorali portate agli amministratori dell’impresa.
Nel periodo considerato gli amministratori in carica si sono trovati ad affrontare soltanto 118 sfide, circa dodici all’anno. Tale percentuale, inoltre, appare inversamente proporzionale alle dimensioni dell’impresa. Nel caso di Company con capitalizzazione di mercato maggiore di 200 milioni di dollari sono stati rilevati ventiquattro casi, meno di tre all’anno, nel periodo di riferimento.
La conclusione da trarre sarebbe che per i manager di grandi public companies la possibilità di essere rimpiazzati alla guida dell’azienda da parte di correnti rivali appare estremamente bassa, quasi irrilevante (Bebchock, 2007). Propriamente sono molto bassi sia i tentativi, da parte di un team rivale, di get the command di una corporate, sia sono trascurabili le possibilità che tali tentativi siano coronati dal successo. Le cause di tale situazione possono essere spiegate ricorrendo all’ipotesi che, normalmente, gli stakeholders siano soddisfatti di chi detiene le leve di comando.
Per Bebchuck (2007) la ‘conquista del potere’ appare ardua per tre ordini di motivi:
- costi elevati;
- incertezza nell’avvicendamento al commando;
- distorsioni temporali del CdA.
1. Costi elevati.
La sostituzione del top management implica costi levati. I dati della SEC danno conto come, ad esempio, nel 2005 le imprese sono incorse a un costo medio per tale procedura pari a 368.000 dollari (SEC, 2006). Ulteriori spese sono poi da mettere in conto per svolgere un’efficace opera di persuasione degli shareholders da parte del team che si oppone alla cordata in carica. Complessivamente, il problema dei costi si pone anche con riferimento al trattamento asimmetrico riservato ai challengers ed agli incumbents.
2 Incertezza nell’avvicendamento al commando.
Empiricamente, si rilevano in ogni caso notevoli resistenze da parte degli shareholders al cambiamento di leadership, cosa che comporta notevoli sforzi senza nessuna effettiva garanzia di successo. Gli shareholder si troverebbero ad esercitare la propria scelta senza alcuna garanzia che gli sfidanti siano migliori di chi detiene il governo aziendale e che siano in grado di ottenere performance migliori (Bebchuck & Cohen 2005).
3 Distorsioni temporali del CdA.
Nelle public companies statunitensi, nella maggior parte dei casi, la durata in carica del board of directors è differente. Questo organismo di governo è infatti suddiviso in diverse classi, solitamente tre, e soltanto per una di esse, a rotazione, sono svolte elezioni con cadenza annuale. In questo quadro di riferimento, è evidente osservare che un gruppo rivale che volesse assurgere al ruolo di comando si troverebbe ad affrontare diverse tornate elettorali per ciascuna delle classi di directors, le quali si tengono almeno a distanza di un anno l’una dall’altra. Il ricambio dell’organo amministrativo, oltre che per ragioni economiche, è difficoltoso anche perché, una volta che la prima elezione sia stata vinta dai challenger, gli shareholder potrebbero temere le conseguenze negative di una situazione nella quale gli incumbent, destinati a perdere la tornata successiva e ad essere sostituiti, rimangano ugualmente in carica.
Come ricordano Bebchuck & Cohen (2005), per garantire agli azionisti un effettivo potere decisionale la questione principale non riguarda la durata delle cariche. La durata della carica è poco influente, anzi, l’autore sostiene un aumento della durata delle cariche, al contrario di quanto sostenuto da buona parte della letteratura in materia che vorrebbe ridurne il lasso temporale a meno di un anno. Per Bebchuck, piuttosto, la soluzione del problema risiede nel fare sì che i challenger non si trovino a sostenere, come attualmente accade, spese troppo ingenti per promuovere la propria candidatura.
Si tratta di garantire un sistema nel quale l’accesso degli shareholder alle elezioni sia regolato da dei criteri riguardanti un “minimum ownership for any shareholder or shareholder group wishing to place a candidate on the ballot.” (Bebchuck & Cohen 2005).
La questione risiede principalmente nel sistema di rimborsi, sistema che, attualmente, li prevede per gli incumbent e non per i challenger. Va qui ricordato come la giurisprudenza americana, in due casi famosi – Steinberg vs. Adams e Rosenfeld vs. Fairchild – abbia consentito agli sfidanti, previa approvazione degli shareholders, di essere rimborsati per le spese sostenute per la campagna elettorale.
Bebchuck L. A., The Myth of the shareholder franchise, 2007, Discussion, paper no. 567, Harvard Law and Economics.
Bebchuk L. A. & Cohen A., The Costs of Entrenched Boards, 78 J. Fin. Econ. 409, 410 (2005);
Bebchuk L. A. & Hart O., Takeover Bids vs. Proxy Fights in Contests for Corpo-rate Control 2 (Nat’l Bureau of Econ. Research, Working Paper No. 8633, 2001),
Bebchuk L. A. et al., The Powerful Antitakeover Force of Staggered Boards: Theory, Evidence, and Policy, 54 Stan. L. Rev. 887, 889 (2002).